Dalle origini più che bimillenarie…

Considerata una delle più antiche tecniche di lavorazione, risalente nelle origini mediorientali almeno al 300 a.C., quella del vetro soffiato in fornace, o “soffiato all’impronta” o “soffio libero”, costituisce di certo uno dei capisaldi della tradizione artistica muranese. Bicchieri, vasi, calici, lampadari, sculture, bottiglie di lusso e quant’altro: la gamma degli oggetti realizzabili tramite gli attenti passaggi di più che bimillenaria memoria è vastissima e quanto mai variegata nelle forme e nei colori.

La perizia dei Maestri è determinante nella corretta esecuzione dell’opera, e la loro fantasia nell’intendere e reinterpretare metodi e procedure risulta fondamentale per infondere valore aggiuntivo ad un prodotto creato a mano, sempre unico e irripetibile.

…alla meraviglia dei giorni nostri (in cinque passaggi chiave)

Ecco dunque un sapere antico riecheggiato attraverso tempi e Paesi lontani fino a giungere nella laguna di Venezia, e in particolare nell’isola Murano. Una magia che si può raccontare passo per passo:

1) Il punto di partenza è per tutti il medesimo: viene inserito un lungo tubo metallico cavo all’interno del forno, dove il vetro fuso raggiunge temperature intorno ai 1370 gradi, e, tramite movimento rotatorio, se ne raccoglie una massa più o meno sferica all’estremità.

2) A questo punto il processo può diversificarsi, a seconda delle dimensioni e delle caratteristiche specifiche dell’oggetto in via di sviluppo: può essere necessario, dopo una prima fase di modellazione, reinserire la canna metallica cava nel crogiuolo per raccogliere altro vetro; inserire la massa vetrosa in un diverso forno detto di riscaldo per mantenerla malleabile; o ancora farla interagire con altri composti vetrosi fusi colorati per ottenere una sfera dotata già di quegli elementi chimici che, una volta lavorati e raffreddati, genereranno le pressoché illimitate combinazioni cromatiche per cui la tradizione muranese è celebre nel mondo.

3) Riferendoci alla realizzazione dei goti, variopinti bicchieri dalle sfumature cangianti, un autentico classico della produzione artistica di Murano, si fa scivolare l’agglomerato vetroso raccolto ancora incandescente su un letto di polvere di vetro dai colori precedentemente selezionati.

4) Operazione analoga viene quindi compiuta su una superficie cosparsa di murrine, piccole sezioni di canna di vetro che presentano internamente dei fantasiosi incroci geometrici. A quel punto il momento più delicato: soffiando all’interno dello strumento metallico cavo si modella la massa vetrosa fino a farle assumere la forma più o meno sferica che si desidera, si attacca una canna di vetro detta “puntello” sul lato convesso della stessa e, con grande perizia, si separa l’opera in fase di creazione dal supporto metallico utilizzato per la soffiatura.

5) Si riscalda dunque proprio la sezione appena staccata (che diventerà la parte superiore del calice) e con rapidi tocchi di “borselle”, le pinze in ferro utilizzate per la modellazione, si va appunto ad aprire la massa sferica soffiata e si definisce meglio la “bocca” del goto. Una volta staccato il puntello dal fondo di quello che è ormai un bicchiere già pienamente riconoscibile, si è di fronte all’incanto compiuto di una gestualità tramandata di generazione in generazione, di secolo in secolo, nell’alveo di un’isola quale quella di Murano che ancora oggi non può che lasciare stupefatti visitatori ed estimatori da tutto il mondo.