Con questa tecnica vengono realizzati molti dei piatti e centrotavola, orologi da parete e oggetti in vetro di Murano. Con la tecnica della vetrofusione i maetsri vetrai muranesi creano moltissime opere.

Una delle tecniche più antiche diventata nel tempo, grazie ad uno dei paradossi della storia, una delle più recenti. Ecco la vetrofusione: il vetro che rinasce dal vetro, non dalla diretta mescolanza di sabbia, soda, carbonato o ossidi di vario genere nei potenti forni, e nemmeno dal semilavorato della bacchetta utilizzato nell’arte del lume, ma da una vera e propria lastra, fatta e finita, che, frammentata e ricomposta secondo un progetto predefinito, viene rifusa e riraffreddata, da sola o sovrapposta ad altre.

Ma, come sempre, andiamo per ordine: un po’ di storia

Le prime testimonianze archeologiche di questa tecnica risalgono all’inizio del II millennio a.C., nell’ambito geografico egiziano e del Vicino Oriente giordano-siriano, con reperti quali piatti, vasi, suppellettili e oggetti ornamentali. Dai primordi vetrofusivi probabilmente accidentali, come magari due tessere in vetro lasciate accanto a fiamme vive che per errore si sono liquefatte e risolidificate assieme, si sviluppò nel corso dei decenni e poi dei secoli una tradizione molto raffinata, che sarà poi ripresa e perfezionata in epoca romana.

Dal 1500 a.C. al 500 d.C., infatti, questo tipo di lavorazione risulta molto in voga, secondo una propagazione a macchia d’olio che dalle regioni mesopotamiche si estenderà lungo tutti i domini dell’impero romano, salvo poi lentamente scomparire dal VI secolo d.C. in avanti. La spiegazione con ogni probabilità sta nel progressivo predominio della tecnica della soffiatura nell’ambito del vetro, più adatta alla produzione di oggetti d’uso comune quali bicchieri, vasellame semplice ed elaborato, ampolle e brocche.

Dopo circa 14 secoli d’ombra, periodo durante il quale pian piano tutte le tecniche, anche quelle più particolari e originariamente di nicchia, venivano riscoperte e reinserite nel mercato, ecco che la vetrofusione finlamente trova anch’essa un nuovo spiraglio di luce. Siamo ormai negli anni ’70 e a più di 10.000 km di distanza dalla culla di provenienza, siamo addirittura in un altro mondo, e per la precisione in quello Nuovo: sono infatti gli artigiani più fantasiosi ed ispirati della West Coast americana a sperimentare e rilanciare per primi opere realizzate tramite vetrofusione.

La vetrofusione oggi, punto per punto

I moderni forni elettrici o a gas hanno notevolmente semplificato la produzione di opere vetrofusive, anche se, in ogni caso, il procedimento rimane molto delicato e richiede grande perizia da parte degli artigiani e degli artisti che se ne servono.

Di norma questi forni non misurano internamente più di 200 cm X 100 cm, per cui i pannelli realizzati con questa tecnica in pochi casi superano queste dimensioni. Compito di questi macchinari è quello di portare gradatamente la materia intorno agli 820 gradi centigradi, ovvero al punto di fusione, per poi lasciare che lentamente la massa diventi via via meno viscosa fino a solidificarsi nuovamente nella forma desiderata. Un ciclo completo di questi strumenti si aggira intorno alle 10-12 ore, a seconda della misura della superficie vitrea, del suo spessore, della tipologia di vetro che la componeva.

  1. Si possono creare molti oggetti differenti, da piatti a finestroni decorativi, da gioielli a fermacarte, ma prendendo come esempio un generico “quadretto” composto da tessere vitree, il primo passo è comunque la progettazione con pennarello e cartoncino. Come se si stesse disegnando un mosaico, ecco che all’interno di un’immagine di partenza, poniamo una bella figura femminile su sfondo boschivo, si tracciano delle linee che suddividano soggetto e retroscena in molte parti, di dimensioni più o meno ridotte.

  2. Posando il cartoncino sulla lastra del colore scelto per il vestito, precedentemente pulita con meticolosità, si solcano cartoncino e vetro con un utensile incidente, come concetto a metà tra penna e bisturi, detto tagliavetro o “diamante”, facendo attenzione a rimanere entro le linee prima tracciate. Un Maestro esperto in molti casi può tracciare direttamente queste linee sulla superficie di vetro, a mano libera, senza servirsi del cartoncino preparatorio.

  3. Una volta ottenuta questa sorta di mosaico si procede analogamente anche con il volto, le mani, le gambe e con gli eventuali alberi o arbusti in primo piano nell’immagine di partenza. Si collocano le tessere su di una lastra trasparente di vetro compatibile a quelli usati, lastra che metaforicamente potrebbe svolgere la funzione di foglio destinato ad accogliere i soggetti della rappresentazione.

  4. Utilizzando gli ossidi metallici polverizzati, ciascuno corrispondente ad un diverso colore, si definiscono le tonalità dello sfondo, spargendo questo materiale finemente lavorato come fosse dello zucchero a velo.

  5. Altra polvere, questa volta di un agente chiamato “distaccante”, dovrà essere versata sotto forma di sottile strato omogeneo sulla superficie refrattaria interna al forno: come forse è intuibile, lo scopo di questo passaggio è impedire che il vetro si attacchi durante la cottura.

  6. Ormai, quasi fosse una ricetta culinaria, tutto è pronto e si può accendere il forno. E certo, proseguendo questo giocoso paragone con l’ambiente della cucina, si può ben affermare che il talento, l’esperienza e la precisione dei Maestri muranesi, veri e propri chef stellati del vetro, siano gli ingredienti segreti per sfornare i manicaretti più gustosi!