La mostra espositiva si tiene dal 08.09 al 28.09.2023, dalle ore 16 alle 20, in ART DEBOIT Biri Cannaregio 5415, Venezia.

MURRINE. Confine tra Arte e Artigianato

«Le creazioni delle nostre mani […] come le opere della natura, sono accomunate da alcune poche idee basilari le cui più semplici espressioni sono certe forme e tipi originari [dal cui sviluppo e
fusione trae origine ancora oggi] una infinita quantità di variazioni»

G. Semper, Prolegomena, in Der Stil in den technischen und tektonischen Künsten, oder Practische Aesthetik, Frankfurt a. M., 1860



Murrine Confine tra arte e artigianato

Questa mostra vuole essere una riflessione sullo stato dell’arte del rapporto tra il lavoro artigiano e il mondo della tecnica e delle macchine che ci circonda.

Dicono: “ In futuro faranno tutto le macchine!” . Una leggenda, una fiaba, una bugia che ha un solo fine: trasformarci in consumatori guidati come automi dalla pubblicità che ci arriva dal telefonino. Come ha detto, negli anni sessanta, Marshall McLuhan “Noi diventiamo ciò che vediamo. Diamo forma ai nostri strumenti e poi i nostri strumenti danno forma a noi”.

Su questo tema generale del rapporto tra la tecnica e il mondo moderno e contemporaneo si sono spesi grandi filosofi del Novecento e l’evidenza centrale delle loro riflessioni è che il mondo occidentale, in particolare, ha trasformato la tecnica da strumento per uno scopo a fine a se stessa. Questa rivoluzione copernicana ha determinato molti cambiamenti nel nostro modo di vivere, nella relazione tra gli individui e tra questi e le istituzioni, e anche, profondamente, nell’economia.
Oggi siamo nel mezzo di una grande trasformazione sociale ed economica, come tutti sottolineano, ma ogni grande trasformazione porta con sé un prezzo collettivo e individuale da pagare (si pensi all’impoverimento delle classi basse all’epoca della rivoluzione industriale, per es.) di cui ancora non conosciamo i contorni.

In questo travagliato passaggio si rischia di buttare anche le cose buone del passato. Il lavoro, la dimensione economica del fare ha messo in conflitto, da tempo, quello che era il lavoro artigianale – inteso come il mestiere del “saper fare” le cose belle e le cose utili che un tempo muovevano non solo un pezzo importante dell’economia, ma anche le passioni, l’innamoramento per gli oggetti fatti bene, la voglia di possedere cose che avrebbero abitato con noi la nostra casa e, dunque, la nostra vita – con il “progresso” e l’“utilità” delle cose aggredendo tempi e costi del modo di produrre.

Se un tempo arti applicate e arte erano due mondi contigui (saltabeccando mi vengono in mente Toulouse Lautrec con i suoi “manifesti”, Carlo Scarpa con i “suoi” artigiani del vetro, del ferro, del legno, Edoardo Gellner, architetto e artigiano a suo modo, figlio di un decoratore, le tavole di Klimt, nate per decorare ambienti…) oggi si è aperto un solco forse incolmabile tra di esse.

Questa mostra è, quindi, anche una denuncia, un urlo!

Un urlo come quello di Munch, disperato e inconsolabile.

Un urlo come quello di Ginsberg degli anni sessanta, contro l’establishment, contro le cose così come stanno per convincerti che sei tu al centro del mondo e non “loro”.

Un urlo dopo la tempesta del Covid, che doveva cambiare tutto con la sua tragedia ed invece non ha cambiato niente, se non in peggio.

Le promesse di un radioso futuro si sono rivelate fiabe e parole vuote. Appena il mondo si è rimesso in moto è partita l’inflazione a cui si è aggiunta la guerra.

Questa condizione in cui ci troviamo mi ricorda la storia della rana che se viene messa sul fuoco nella pentola con l'acqua fredda non scappa e un po’ alla volta finisce bollita.

Alcune di queste promesse – ma non è una novità nella “fisiologia” dei governi – dichiaravano impegni a intervenire sul mercato dell’energia, promesse che poi sono cadute nel vuoto. Il prezzo del gas ci costringe a chiudere i forni? Appena inizia a calare, con mille sacrifici riprendiamo il lavoro e questo sembra bastarci.

Manca, a me pare, una visione, un orizzonte nuovo da costruire per cambiare le condizioni del contesto, rimanendo però sempre fedeli a noi stessi e al nostro mondo.

Venezia invasa dai turisti? Ma sono tanti i negozi che rimangono chiusi e soprattutto sono pochissime le nuove ditte artigiane.

Come reagire ?

Gonfiarsi il petto con i famosi 1000 anni di storia non basta per riscrivere il nostro destino. Un confronto alla pari con il mondo di oggi dominato dai robot, dai computer, da Amazon è impossibile.

Hans Maestro vetraio che lavora Il confronto dobbiamo farlo con noi stessi e verificare se il nostro lavoro ha ancora un senso. Se noi artigiani non serviamo più, se siamo inutili è bene che chiudiamo e facciamo altro.

Ma se la base del rapporto tra l’uomo e il mondo è ancora il “fare”, allora è chiaro che rimaniamo centrali. Il lavoro artigiano è una base privilegiata per esserci e muoversi nella realtà. Rappresentiamo un mondo di valori che nessuna macchina può sostituire.

È chiaro che tra uno scalpellino e Michelangelo c’è una differenza gigantesca, ma è altrettanto chiaro che tra i due c’è anche un legame profondo che è quello del fare. Diversamente, nel campo dell’arte ci si è sempre più allontanati dalla materia e dalle regole, arrivando a concepire oggi l’arte cosiddetta concettuale a cui non serve nulla: basta l’esibizione dell’idea in sé.

L’arte applicata viene considerata un’arte minore, di seconda categoria.

E forse è per questa inconciliabile separatezza e nel solco di una pallida e ambigua emancipazione dell’arte che da decenni è stato eliminato alla Biennale lo spazio per le arti applicate e per i vetri di Murano.
E qui arriviamo al secondo tema di questa mostra: il rifiuto di accettare steccati utili solo a dividere. Hanno distrutto la cultura del lavoro, cominciando con l’unificazione delle scuole medie: una scuola uguale per tutti a un livello più basso e cancellando le scuole professionali.
E così avanti per decenni nella separazione tra teoria e pratica, tra scuola e lavoro, fino alla scandalosa legge Gelmini che nel 2009 ha abolito gli "istituti d'arte" per trasformarli in licei artistici, un colpo gravissimo alla cultura del fare con l'inganno di aprire il mondo dell’arte ai giovani: molto più facile, divertente e gratificante andare a scuola per diventare artisti piuttosto che qualificati tecnici, operai, artigiani.

In questo modo sì è creato un fossato tra l’arte in sé e l’artigianato artistico. Sono diventati due mondi che non si parlano. Noi al contrario pensiamo che i confini vadano intesi come luoghi d'incontro tra realtà differenti ciascuna con la propria dignità e valore.

E uno dei motivi che ha ispirato questa mostra è proprio quello di recuperare questo rapporto incrociando modi, esperienze, aspirazioni che convergono verso la riaffermazione del valore profondo e di condivisione del fare dell’artigiano.

Da queste considerazioni cerchiamo ora uno spiraglio di luce.

Il FARE è la medicina, la risposta al degrado che stiamo vivendo, e il FARE è artigiano!

CONOSCERE,

FARE, RIFARE, MIGLIORARE LA QUALITÀ,
AVERE MISURA, PRECISIONE, MEMORIA, COSTANZA,
CONFRONTARSI QUOTIDIANAMENTE CON LE REGOLE DELL’ARTE

Questi sono i mattoni con cui si costruisce la conoscenza e la cultura artigiana, per realizzare OGGETTI FATTI A REGOLA D'ARTE!

Come gli strumenti musicali in vetro che aprono questa mostra in una performance che coniuga musica e vetro.

Hans Neidhardt

Venezia, settembre 2023






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